Le radici del fascismo turco

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E la minaccia che rappresenta

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Nella foto sopra, scattata nel 2014, sono ritratti alcuni fascisti turchi che, marciando armati di torce e intonando slogan anticurdi, mostrano le mani a mo’ di lupo, simbolo dei Lupi Grigi, tre anni prima che i fascisti americani sfilassero con torce simili al raduno “Unite the Right” tenutosi a Charlottesville, Virginia. Come gli Stati Uniti e molti altri Paesi, la Turchia ha imboccato la strada verso l’escalation dell’autoritarismo da parecchio tempo, probabilmente ancor prima di altre nazioni. Com’è stato possible che un Governo autocratico abbia preso il controllo in Turchia, plasmando un’alleanza tra un nazionalismo un tempo laico e un Islam fondamentalista? Studiare le radici del fascismo turco contemporaneo ci permetterà di comprendere i motivi dell’invasione del Rojava, identificare potenziali compagni e zone a rischio all’interno della società turca e intravedere come il futuro potrebbe essere ovunque se non riusciremo a fermare l’ascesa dell’autocrazia.

Nell’appendice potrete leggere un’intervista rilasciata da un membro di Azione Anarchica Rivoluzionaria (DAF), un movimento anarchico attivo in Turchia da dieci anni.

Non molto tempo fa, la Turchia era la beniamina del mondo Occidentale: meta turistica prediletta da europei e russi, sede di una delle basi militari americane straniere più longeve e una delle beneficiarie principali dei prestiti da parte dell’IMF e della Banca Mondiale. In passato, il Paese che fungeva da ponte tra Asia ed Europa era molto rispettato dagli alti papaveri dell’esercito statunitense e dagli speculatori finanziari; quest’immagine è stata duramente offuscata dall’ultima incursione ai danni della Siria settentrionale compiuta dall’esercito turco, incursione che ha suscitato diffusa disapprovazione da parte di svariati politici e movimenti sociali internazionali.

Tuttavia, anche se il raid ha colto di sorpresa molte persone, la Turchia stessa è sempre stata caratterizzata da un mix di fascismo - uno Stato etnico costruito sul massacro degli armeni e sull’espulsione dei greci, nonché sull’assimilazione coloniale della popolazione curda locale. Al momento della sua formazione, l’identità nazionale turca fu concepita a beneficio dei musulmani, mutuata dal “sistema nazione” con il quale l’Impero Ottomano divideva la popolazione in base alla religione.

Per i suoi primi ventisette anni, a partire dal 1923, lo Stato turco fu guidato da un sistema corporativo a partito unico che potrebbe essere giustamente descritto come fascista. Dopo il 1950, altri partiti poterono entrare nel sistema parlamentare - almeno fino al colpo di Stato militare del 1960.

Negli anni successivi, la Turchia fu influenzata dall’ondata rivoluzionaria globale di sinistra. Questo periodo relativamente inclusivo si concluse con il golpe militare del 1980; il regime fascista neoliberale che seguì fu molto simile a quello cileno di Pinochet. Nel corso degli anni Novanta s’intensificarono sia la guerra contro i movimenti curdi sia l’instabilità politica, con Governi di coalizione che si disgregavano l’uno dopo l’altro. All’inizio del millennio, quando Recep Tayyip Erdoğan entrò in scena, sembrò fosse giunto il momento di una rottura con la politica turca classica e che si stesse andando incontro a una svolta liberale democratica; ma la luna di miele si concluse gradualmente quando il neoliberismo autoritario si fuse con il fascismo turco tradizionale. L’ultima versione del fascismo turco, incarnato dal Presidente Erdoğan, rappresenta l’amalgama di un nazionalismo profondamente radicato con l’Islam politico più recente.

In apparenza, quest’unione ideologica è sorprendente, perché le due fazioni erano in contrasto. I princìpi fondanti su cui poggiava lo Stato turco, progettati da Mustafa Kemal Atatürk, ne sottolineavano la natura laica. Questo laicismo, seppur repressivo - per esempio, con il divieto di indossare abiti religiosi in pubblico - era lungi dall’essere completo. Dalla nascita dello Stato, il suo Direttorato degli Affari Religiosi ha ripetutamente tentato di disciplinare e inculcare il sunnismo in tutta la Turchia. Ancor più importante, l’unione di forze statali, milizie sunnite nazionaliste e criminalità organizzata ha compiuto stragi periodiche contro la popolazione turca degli aleviti1 - nel 1938 a Dersim contro i curdi alevi, nel 1978 nelle città di Maraş e Malatya, a Çorum nel 1980 e a Sivas nel 1993.

Nonostante le origini nazionaliste dello Stato e la periodica mobilitazione dell’Islam a servizio del nazionalismo turco, questa forma di fascismo egemonico enfatizzava essenzialmente le radici turche della steppa centroasiatica più che la mescolanza dell’imperialismo Ottomano e del fondamentalismo islamico che Erdoğan propaganda oggi. Questa forma di fascismo fu usata come arma contro il movimento studentesco di sinistra sorto alla fine degli anni Sessanta e negli anni Settanta, movimento in cui si fecero le ossa anche i padri fondatori e i quadri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Partiya Karkerên Kurdistanê, PKK), tra cui dobbiamo ricordare il suo leader riconosciuto Abdullah Öcalan. Sia lo Stato sia le formazioni paramilitari fasciste a esso connesse commisero dei massacri, come il famigerato raid di Ankara del 1978 durante il quale furono assassinati sette giovani membri del Partito dei Lavoratori Turco. Alcuni degli esecutori di quella strage divennero in seguito agenti dell’Operazione Gladio, organizzazione paramilitare internazionale diretta dalla CIA e dalla NATO, responsabile dell’attuazione della “strategia della tensione” in Italia contro il movimento degli Autonomi degli anni Settanta e le cui imprese si protrassero a lungo. Negli anni Novanta, questi agenti statali organizzarono anche le forze di controguerriglia che presero di mira i membri del PKK e i loro finanziatori curdi in tutta la Turchia.

Giovani di sinistra vengono radunati dalla giunta militare durante il colpo di Stato del 12 settembre 1980.

L’ascesa dell’Islam politico

Nel frattempo, in mezzo alle violente agitazioni tra studenti di sinistra e fascisti paramilitari sostenuti dallo Stato, i fondatori del moderno Islam politico turco si stavano organizzando tranquillamente. Tra questi c’era Fetullah Gülen, un ecclesiastico islamico turco, attualmente in esilio sulle Pocono Mountains della Pennsylvania. La lunga relazione di Gülen con l’AKP e lo stesso Erdoğan è stata a dir poco tumultuosa. Inizialmente attivo nella città di Erzurum, nella Turchia orientale, come membro di una congregazione che seguiva gli insegnamenti di Said Nursi, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, Gülen divenne imam di un ristretto gruppo di seguaci nella città occidentale di Smirne (Said Nursi, un fervente anticomunista, fu anche perseguitato dalla Turchia fino alla sua morte avvenuta nel 1960; la sua particolare variante dell’Islam fu considerata una minaccia per i kemalisti perché essa racchiudeva in sé capitalismo e modernità.)

Le origini di Erdoğan possono essere fatte risalire a un movimento islamico rivale, il Punto di Vista Nazionale (Milli Görüş, un riferimento al legame ottomano tra Stato turco e Islam) fondato da Necmettin Erbakan, che utilizzava strategie differenti da quelle di Gülen. Laddove Erbakan sostenva un movimento politico per impadronirsi dei seggi parlamentari e, in sostanza, del Governo, Gülen mise in atto tattiche più subdole che univano costruzione d’imprese e il coordinamento di vari organi statali, soprattutto militari e giudiziari, forze di polizia incluse.

Spesso in competizione, questi due filoni dell’Islam politico turco salirono alla ribalta nei primi anni Ottanta dopo il colpo di Stato militare del 12 settembre 1980 che mise al potere Kenan Evren, sotto il quale furono arrestate quasi 650.000 persone, per lo più rivoluzionari di sinistra. Dietro le sbarre, ne morirono 171 a causa di torture e interrogatori, 49 furono invece giustiziate apertamente. Questa brutale ondata di repressione spianò la strada per l’ascesa dell’Islam politico, soprattutto come risorsa per contrastare l’avanzamento della sinistra, diffusasi rapidamente tra i giovani turchi e i lavoratori sindacalizzati. Il processo fu accellerato dal Presidente Turgut Özal, che incorporò l’economia turca nel sistema neoliberale globale limitando gli investimenti pubblici, adottando misure per attirare capitali stranieri, promuovendo ampie privatizzazioni delle istituzioni pubbliche e passando a un’economia orientata all’esportazione.

Kenan Evren, il Generale turco alla guida del golpe militare del 12 settembre 1980 e, pertanto, responsabile dell’ascesa dell’Islam politico presente in Turchia oggi.

Öcalan riuscì a fuggire dal Paese prima del colpo di Stato, e negli anni Ottanta, dalla Siria, iniziò a organizzare il PKK in modo più serio, predisponendo training formali per azioni di guerrilla e presentando le sue idee alla società curda dei villaggi e delle città della Turchia sud-orientale.

Alla fine, entrambi i filoni dell’Islam politico - la “Congrega” gülenista e il “Punto di Vista Nazionale” di Erbakan - riscossero successo con le rispettive strategie. La Congrega si infiltrò profondamente nell’Esercito e nella Magistratura, mentre il Partito del Benessere di Erbakan (Refah Partisi) divenne partner della coalizione alle elezioni politiche del 1996 e il suo fondatore divenne Primo Ministro. L’iniziale ascesa di Erdoğan nella politica turca, come sindaco di Istanbul dal 1994 al 1998, avvenne grazie alla sua appartenenza al partito di Erbakan. In seguito alla sua soppressione da parte del Consiglio di Sicurezza Nazionale turco, e alla breve detenzione di quattro mesi di Erdoğan per aver recitato una poesia islamica, nel 2001 fu fondato il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP).

L’AKP salì al potere dopo le elezioni politiche del 2002 con una vittoria schiacciante, formando un Governo monopartitico per la prima volta dal regno di Özal degli anni Ottanta. Tra i motivi di questa rapida scalata al potere, dobbiamo ricordare che, innanzitutto, fu in grado di sfruttare la frustrazione degli elettori derivata dalla risposta neoliberista alla crisi economica turca del 2001; in secondo luogo, non dobbiamo dimenticare l’alleanza con il movimento gulenista. I quadri della Congrega ricoprirono un ruolo essenziale poiché, fino ad allora, partiti e governi islamici erano sempre stati repressi dai tribunali o dai militari. Dandosi man forte a vicenda, le due correnti precedentemente divergenti all’interno dell’Islam politico riuscirono persino a prendere il sopravvento sulle strutture militari nazionaliste turche di lunga data attraverso diverse operazioni e indagini complici.

Tuttavia, questa debole alleanza si ruppe intorno al 2011. Le cause di questa scissione furono complesse. L’evento scatenante fu, apparentemente, rappresentato dai negoziati di pace tra AKP e PKK tenutisi in Norvegia. Il riavvicinamento temporaneo fu una spina nel fianco per i fedelissimi gülenisti anti-PKK. La spaccatura fu scatenata anche dalle divergenze esistenti tra politica turca e americana nei confronti del conflitto siriano, mentre Gülen stava diventando un cliente degli Stati Uniti. Ancor più importante, l’ascesa di Erdoğan e dell’AKP divenne una minaccia esistenziale per i gülenisti, poiché i primi furono in grado di mettere da parte una fetta non indifferente del capitalismo clientelare per essi stessi. Durante gli anni dell’AKP, il volume delle privatizzazioni - ovvero il trasferimento di ricchezza dal settore pubblico ai privati - raggiunse i $60 miliardi, quasi dieci volte superiore rispetto alle amministrazioni precedenti. Il conflitto tra i due infuriò per cinque anni, culminando infine con il tentato colpo di Stato del 15 luglio 2016 da parte delle forze armate güleniste.

Negli anni Novanta, Gülen e Erdoğan s’ingraziavano l’un l’altro.

Il colpo di Stato fallito

Il tentato golpe fornì a Erdoğan la scusa perfetta per consolidare il suo potere. Riuscì a eliminare i vecchi alleati gülenisti, ormai una minaccia per il suo regno, e a scatenare una tempesta di repressione contro ogni opposizione, inclusi il movimento curdo e vari gruppi e attivisti di sinistra. Una volta Erdoğan si era riferito rispettosamente a Gülen sostenendo che era il suo Hodja, ovvero maestro; ora si riferisce a lui in modo denigratorio per il luogo degli Stati Uniti in cui vive in esilio, la “Pennsylvania.” Oltre alla pratica di riferirsi all’YPG (Yekîneyên Parastina Gel, ovvero Unità di Protezione Popolare) pronunciando l’acronimo in inglese, questa è la dimostrazione di come Erdoğan si presenti intenzionalmente alla popolazione turca e all’umma musulmana in generale (ovvero, tutti i musulmani visti come un’unica comunità unita dalla religione) come una sorta di anti-imperialista.

La dichiarazione di uno stato di emergenza proclamato dopo il putsch diede a Erdoğan il potere di emanare decreti d’urgenza. Tutto questo comportò l’incarcerazione di oltre 8.000 membri del Partito Democratico dei Popoli (HDP) guidato dai curdi, il licenziamento di oltre 6.000 accademici dalle loro università per opinioni contrastanti e politica di tolleranza zero nei confronti di qualsiasi manifestazione pubblica critica nei confronti dell’AKP - anche se nessuno di questi gruppi aveva a che fare con il golpe. La portata della repressione scatenata da Erdoğan dopo il tentato di golpe può essere paragonata, se non nella sua ferocia, a ciò che accadde dopo il riuscito colpo di Stato militare del 1980.

Il fallito golpe fornì anche una storia rivisitata sulle “origini” dell’AKP, che era stato messo alle strette dalla rivolta di Gezi del 2013.

Alla fine del maggio 2013, la polizia antisommossa sgomberò brutalmente una manifestazione in difesa di Gezi Park in Taksim Square, nel centro di Istanbul. Persone di diverse fazioni politiche e diverse etnie sfidarono i poliziotti, costringendoli ad andarsene ed erigendo barricate intorno al quartiere. Per dieci giorni, la successiva protesta mantenne una zona libera dalla polizia nel cuore di Istanbul, mentre centinaia di migliaia di persone in tutta la Turchia - tra cui squadre di calcio rivali, vari gruppi di sinistra e anarchici - manifestarono contro il Governo. Riflettendo oggi, questa fu una delle ultime scintille rivoluzionarie nell’ondata di movimenti che ebbe inizio con l’insurrezione greca del dicembre 2008 e che si concluse con l’avanzata fascista nella rivoluzione ucraina del 2014.

La rivolta di Gezi fu la sommossa di strada più duratura, più diffusa e più partecipata nella storia della Turchia Occidentale, ovvero non curda. Le strutture condivise sorte nell’accampamento, offrirono una panoramica sulle future relazioni sociali rivoluzionarie. Dopo lo sgombero, l’energia del movimento non si sopì, seppur perdendo un po’ di entusiasmo, per un altro anno.

Il mercato rivoluzionario durante l’insurrezione di Gezi - tutto gratis.

Eppure alla fine, dopo che la polizia ebbe ripreso il controllo delle strade, il movimento non fu in grado di ricostituirsi. Questo fu, in parte, dovuto alla stanchezza. Allo stesso modo, la spontaneità del gruppo - indiscutibilmente uno dei suoi maggiori punti di forza - non riuscì a offrire un modo chiaro per riunirne i partecipanti dopo che erano stati sgomberati da Taksim Square; le diverse fazioni politiche si ritirarono ancora una volta nei loro rispettivi ghetti ideologici. Tuttavia, l’insurrezione di Gezi rimane viva nel cuore di molte persone, anche se la limitazione della politica pubblica seguita al colpo di Stato ha reso difficile parlarne apertamente.

Dopo il mancato golpe, Erdoğan arrivò al punto di dipingere la rivolta di Gezi come un altro putsch fallimentare. Mentre divenne impossibile organizzarsi secondo gli ideali dell’insurrezione di Gezi, il tentato colpo di Stato permise a Erdoğan di forgiare una nuova narrazione in cui lui e il suo Governo stavano proteggendo la Turchia da minacce interne ed esterne. Le manifestazioni pubbliche che onoravano i cittadini “martiri” periti per opporsi ai militari e alla ridenominazione di ponti, parchi, viali e molti altri spazi pubblici per riflettere gli eventi del 15 luglio 2016, tengono in vita il fallito golpe nei ricordi dei turchi, creando un senso di unità nazionale di fronte a “nemici stranieri.”

La cerimonia inaugurale di uno dei numerosi Martyrs Park del 15 luglio sorti in parecchie piccole città turche. Questo di Bozüyük, Bilecik, ha un modello in scala del Ponte sul Bosforo - ora chiamato anche Ponte dei Martiri del 15 luglio - uno dei fulcri del tentato colpo di Stato del 15 luglio 2016.

Con il passare degli anni, Erdoğan ha rafforzato la sua politica restrittiva sul Paese. Parallelamente, ciò lo ha reso più isolato e vulnerabile, spingendolo a cercare nuovi alleati politici, soprattutto nell’ultranazionalista Partito del Movimento Nazionalista (MHP) che ora mantiene una lieve coalizione con l’AKP, coalizione che incarna lo sforzo a lungo termine di sintetizzare nazionalismo turco e Islam. Quest’ideologia politica è alla base dell’attuale regime di Erdoğan, ben rappresentata dai simboli incarnati dai gesti delle mani visti sia ai raduni dell’AKP sia tra i delegati jihadisti turchi operativi in Rojava. Da una parte c’è il lupo grigio emblema del fascista MHP; dall’altro, le quattro dita di R4BIA - rese popolari da Erdoğan in solidarietà verso i Fratelli Musulmani d’Egitto - che rappresentano i quattro pilastri del fascismo dell’AKP: una nazione, una bandiera, una patria, uno Stato.

Le forze militari turche che distendono le mani a rappresentare i Lupi Grigi e R4BIA islamica occupano Afrin, nel Rojava occidentale, febbraio 2018.

Prima dell’invasione, il potere di Erdoğan si stava indebolendo. Per l’AKP fu un duro colpo il fatto che, nonostante Erdoğan avesse spinto per ripetere il voto, il candidato del partito nazionalista di centro sinistra Partito Popolare Repubblicano (CHP) avesse vinto le elezioni per diventare Sindaco di Istambul due volte - e con un margine molto più alto la seconda volta - in parte grazie al sostegno dell’ultranazionalista Buon Partito (IYI) e al supporto implicito dell’HDP. Nel frattempo, alcuni membri di vecchia data dell’AKP, tra cui anche alcuni suoi fondatori, si erano staccati Erdoğan e stavano prendendo in considerazione l’ipotesi di formare uno o più partiti nuovi. Lo stesso tipo di frattura interna era stata avviata da ex membri del Partito del Movimento Nazionalista (MHP).

Osservando gli autocrati di tutto il mondo - Bolsonaro, Duterte, Trump, Putin, Xi, Sisi e Orban, per non parlare degli aspiranti demagoghi non ancora al potere - si potrebbe dire che Erdoğan, a parte Putin, sia stato il dittatore originale. Erdoğan e gli altri despoti si elogiano a vicenda: Orban starnazza su come “la Turchia abbia un leader con una forte legittimità,” mentre Trump scherza, riferendosi alla carica vita natural durante di Xi Jinping, dicendo “Forse un giorno dovremo sparargli.”

Allo stesso modo, i rivoluzionari di tutto il mondo, dagli Stati Uniti alle Filippine, dovrebbero imparare da ciò che è accaduto in Turchia. Dovremmo analizzare le alleanze, anche se apparentemente fragili, all’interno dei gruppi di destra della nazione; dovremmo esaminare le ideologie politiche delle differenti fazioni che costituiscono lo Stato; e, ancora più importante, dovremmo scoprire come creare delle fratture tra loro per rovesciare la struttura che insieme costituiscono. Da un lato, dobbiamo comprendere come il nazionalismo e il fondamentalismo religioso si sono mobilitati per darsi forza a vicenda, così da poter minare quelle coalizioni prima che ci rendano impossibile organizzarci e agire. D’altro canto, dobbiamo comunicare una visione alternativa di società per quelle fasce di popolazione più suscettibili a questo miscuglio di nazionalismo e fondamentalismo.

Erdoğan ed Evren nel 2005 al funerale di un altro generale, Nurettin Ersen, dietro al colpo di Stato del 12 settembre 1980.

La lotta curda non si arresta

Il movimento curdo in Turchia e oltre il confine siriano si è ripetutamente mostrato capace di reinventarsi per superare in astuzia i suoi nemici. La più recente iterazione del partito politico legale del movimento, il Partito Democratico dei Popoli (HDP), catalizzò l’attenzione di ampie fasce della sinistra in tutta la Turchia occidentale, creando, per la prima volta, una sorta di fronte unito alle forze progressiste oltre le regioni tradizionalmente curde della nazione. Per quanto limitato, il relativo successo politico del partito mise a dura prova l’influenza dell’AKP. La più grande conquista ottenuta recentemente dal movimento di liberazione curdo si è però verificata tra i fronti settentrionali della guerra civile siriana nel Rojava.

Quando l’AKP salì per la prima volta al potere, inizialmente vi fu un livello di speranza malriposta - sia da parte di porzioni del movimento curdo sia della sinistra liberale - sul fatto che questo avrebbe potuto far sgretolare l’eredità nazionalista dello Stato turco. L’ascesa di Erdoğan segnò un distacco dalla politica turca classica; era comprensibile che un gruppo storicamente oppresso come i curdi, cui lungamente erano state negate le libertà di base nell’ambito di una politica ufficiale di brutale assimilazione nazionalista, sarebbe stato cautamente ottimista. Inoltre, fu avviato un processo di pace che riconobbe Abdullah Öcalan come parte attiva nel processo dalla prigione dell’isola dove è tenuto in isolamento perpetuo. Questi bagliori di ottimismo svanirono rapidamente quando l’AKP vide nell’HDP una minaccia politica alla propria egemonia, minata dalla sua sconfitta alle elezioni politiche del giugno 2015. In risposta a questo sviluppo, Erdoğan schierò fila di combattenti lungo il famoso gasdotto jihadista dalla Siria settentrionale per contrastare il movimento curdo in Turchia.

Öcalan riceve la visita di Selahattin Demirtaş, ex copresidente del HDP ora in carcere, e dell’attuale copresidente Pervin Buldan durante il processo di pace nel 2013.

La rivoluzione sociale portata avanti dal movimento curdo in Rojava è stata ampiamente osannata su vari canali d’informazione radicali; altri media mainstream e istituzionali ne hanno elogiato l’abilità militare a tal punto che non risulta necessario riesaminarla qui. Ciò che è importante da capire è quanto la politica turca sia strettamente legata alla crisi in Siria. Non solo la rivoluzione in Rojava ha instillato linfa vitale nel movimento curdo in Turchia, ma ha anche spinto lo Stato turco a intensificare la sua repressione. Da un lato del confine con la Siria, la Turchia ha agevolato il flusso di armi e reclute per l’ISIS. Dall’altro, il sogno dell’autonomia curda in Turchia è stato rinvigorito; le idee che hanno dato vita al Rojava continuano a ispirare rivoluzionari in tutto il mondo. Quest’entusiasmo è ben rappresentato dai volontari internazionali che combattono fianco a fianco dell’YPG e dell’YPJ e dall’esternazione di solidarietà internazionale in risposta all’invasione del Rojava.

L’ideologia islamista, introdotta per la prima volta nella struttura militare turca attraverso i quadri gülenisti, si fece ulteriormente strada attraverso nuove alleanze con gruppi attivi nella guerra siriana. La presenza di questi divenne nota ai più durante le incursioni durate mesi ai danni delle roccaforti curde durante l’estate del 2015. I graffiti islamici lasciati dall’esercito turco dovrebbero convincere chiunque abbia dei dubbi a riguardo.

Graffiti lasciati dai militari turchi dopo la loro occupazione di Nusaybin nell’estate 2015: “C’è Allah, non c’è dolore.” “Allah protegge i turchi.”

Attentatori suicidi hanno deliberatamente preso di mira tutti coloro che stavano cercando di costruire una rete di solidarietà tra i turchi e i curdi che vivono l’occupazione militare turca. Il primo di questi attentati suicidi avvenne nel luglio del 2015, nella città di Suruç, contro una delegazione di giovani di sinistra che stava tentando di recarsi a Kobanê, città devastata dalla guerra, per portare dei giocattoli ai bambini. In quell’attacco persero la vita 33 persone. In modo alquanto meschino, lo Stato utilizzò quest’episodio per lanciare l’assalto su larga scala dell’estate 2015 di cui sopra. Ancor più letale fu il bombardamento di una marcia di protesta contro la guerra nei territori curdi; ciò avvenne il 10 ottobre 2015 ad Ankara, la capitale turca, causando la morte di 109 persone. In entrambi i casi, gli aggressori furono cellule turche affiliate all’ISIS ben note e, talvolta, agevolate dallo Stato. Il dipartimento di polizia della città da cui provenivano gli attentatori, Adıyaman, e l’Organizzazione di Informazione Nazionale (MIT), continuò a sorvegliarli, senza però arrestarli o trattenerli nonostante esistessero dei mandati per la loro carcerazione.

L’AKP fece alcune concessioni minori alla popolazione curda come, per esempio, una stazione televisiva curda gestita dallo Stato e un parziale allegerimento delle restrizioni sul parlare e cantare nella lingua madre. Ma queste briciole sono sparpagliate sulle ceneri di qualsiasi autonomia politica che i curdi siano stati in grado di ritagliarsi da soli. Persino la partecipazione alla normale politica parlamentare o comunale è diventata praticamente impossibile. Almeno una dozzina di membri eletti del Parlamento sono stati imprigionati insieme a decine di copresidenti dei sindaci. Dalle ultime elezioni comunali nella primavera del 2019, i copresidenti dell’HDP sono stati costretti a lasciare l’incarico in 15 comuni, sostituiti con nuovi sindaci nominati da Ankara.

I nazionalisti turchi indicarono rapidamente curdi di spicco che avevano goduto di posizioni privilegiate nella società turca, proprio come i loro equivalenti statunitensi avevano sostenuto che la presidenza di Obama annunciasse la nascita di un’America post-razziale. Il ruolo ricoperto da alcuni individui non toglie il fatto che i curdi, come popolo, sono stati storicamente una colonia interna della Turchia. Nell’economia turca, il popolo curdo funge da forza lavoro a basso costo e iper-sfruttata per mestieri pericolosi “non qualificati” - come precari, lavoratori agricoli stagionali sul gradino più basso nel settore dei servizi e manovalanza spendibile in settori come quello delle costruzioni. Nei territori curdi orientali sono stati elaborati progetti di sviluppo su larga scala - come mega-dighe - distruttivi dal punto di vista ambientale e culturale per fornire energia e altri beni alla Turchia occidentale. Nelle aree curde, i servizi pubblici e gli investimenti sono minimi. Negli ultimi decenni i curdi si sono difesi con tutte le loro forze ma oggi, perlomeno in Turchia, qualunque tipo di autonomia da loro guadagnata sta svanendo, in concomitanza con un recente picco di attacchi razzisti contro il popolo curdo in tutto il Paese.

Va da sé che i curdi non hanno un sistema di pensiero egemonico: alcuni sono più politicizzati di altri, altri più orientati a sinistra e, in termini di religione, alcuni sono ferventi credenti mentre altri no. Un fattore che ha contribuito ai successi elettorali dell’HDP è il fatto che abbiano respinto parte della retorica marxista e di liberazione nazionale del PKK al fine di attirare una più ampia fascia di elettori curdi. Anche se qualcuno sostiene l’AKP, una minaccia più grande per l’esistenza del movimento per la libertà curda è il crescente segmento della popolazione curda che è sfinito da quello che sembra un conflitto senza fine. Anche se non sostengono l’AKP, sono stanchi della guerra e, in alcuni casi, affranti o stanchi del PKK a causa dei suoi errori strategici.

Membri parlamentari dell’HDP tentano di distribuire volantini per il loro congresso annuale; il cordone della polizia antisommossa serve a impedir loro di farlo. Davanti si vede Garo Paylan, il primo membro armeno del parlamento turco nella storia del Paese.

La ristrutturazione delle forze armate turche a seguito del tentato golpe ha anche contribuito alla crisi che sta affliggendo i curdi. Infatti, molti dei comandanti ai vertici della gerarchia militare coinvolti nell’evento erano anche dietro le brutali invasioni militari e coprifuoco imposti in tutte le regioni curde della Turchia nell’estate e nell’autunno del 2015, che provocarono il massacro di oltre 4.000 persone. Il coinvolgimento di questi funzionari nel colpo di Stato permise a Erdoğan di lavarsi le mani per la responsabilità delle stragi, facendo subire, ironia della sorte, lo stesso destino dei loro vecchi oppositori a quei pubblici ministeri e giudici gülenisti che avevano appena represso attivisti curdi e di sinistra insieme. Come conseguenza del fallito golpe, l’intero apparato giudiziario e le forze dell’ordine, in cui abbondavano quadri gülenisti, precipitarono a tutti gli effetti nel caos.

I ruoli di comando militari occupati dai gülenisti fino al 2015 sono, ancora una volta, nelle mani dei quadri nazionalisti turchi che i gülenisti eliminarono con l’aiuto dell’AKP. Questi gruppi sono ostili al movimento curdo quanto i loro predecessori. A tal proposito, è altamente plausibile che gli stessi nazionalisti turchi che hanno appena avuto accesso a queste posizioni militari abbiano giocato un ruolo nell’incoraggiare la più recente invasione del Rojava.

Graffiti lasciati nel quartiere ribelle di Sur, ad Amed (Diyarbakır), durante l’assedio dell’autunno/inverno 2015. “Allah è tutto ciò di cui hai bisogno - vedrai il potere dei turchi.” Questo graffito è firmato “Esedullah Team,” una formazione paramilitare precedentemente sconosciuta che opera con l’esercito turco. Testimoni locali affermano che parlano arabo e urlano slogan islamici.

L’invasione del Rojava e la conseguente mobilitazione in tempo di guerra hanno, di fatto, messo a tacere qualsiasi parvenza di opposizione politica tradizionale. Una recente decisione parlamentare di dare il via libera all’incursione è stata approvata da tutti i partiti politici a eccezione dell’HDP guidato dai curdi. I politici solitari del CHP, o altre figure politiche che esprimono la loro opposizione alle ambizioni coloniali di Erdoğan, sono soggetti a una raffica di attacchi da parte dei media e dell’apparato giudiziario.

Nella sua megalomania, Erdoğan si paragona spesso a una specie di sultano neo-ottomano con ambizioni imperiali per la regione. Anche se non è in atto una strategia a lungo termine, tutto ciò richiede una certa capacità di mostrare i muscoli. La tattica di trasformare la Siria settentrionale in una sorta di procura dipendente dalla Turchia offre però alcuni vantaggi a Erdoğan. Per molto tempo, l’economia e la valuta turche sono state sull’orlo del collasso. La guerra economica e i progetti di costruzione e sviluppo nella Siria settentrionale potrebbero evitare l’inevitabile, almeno temporaneamente.

Erdoğan saluta Assad durante una vacanza in famiglia nella località turistica mediterranea di Bodrum, in Turchia, nel 2008.

Intanto, la Turchia ospita oltre tre milioni di rifugiati siriani e migliaia e migliaia di jihadisti che sono rifugiati e addestrati formalmente in campi gestiti dallo Stato turco sia in Turchia sia in Siria. I politici hanno fomentato il razzismo contro i profughi siriani per chiedere voti. Sono anche stati incolpati dall’AKP di aver contribuito al declino dell’economia - i dati più recenti mostrano che in Turchia c’è una disoccupazione che rasenta il 14%. Ripopolare il Rojava con i rifugiati provenienti da altre parti della Siria non solo rimpiazzerebbe la popolazione curda, ma asseconderebbe anche il razzismo contro i siriani che giungono nelle città occidentali della Turchia come Istanbul, una xenofobia in cui è implicata anche l’opposizione.

La causa fondamentale dell’invasione è la radicata inimicizia tra lo Stato turco - al momento della sua formazione, indipendentemente dal partito al potere - e il popolo curdo che lotta per l’autonomia e il riconoscimento come gruppo etnico. Avendo, di recente, più o meno neutralizzato il PKK all’interno dei confini della Turchia, è giunto il momento per Erdoğan di intraprendere una guerra in una zona in cui il movimento per la libertà curda è più forte: i territori liberati del Rojava.

Il momento dell’attentato suicida durante la manifestazione contro la guerra che chiedeva la pace nei territori curdi della Turchia, il 10 ottobre 2015, Ankara.

Politica di opposizione in Turchia e solidarietà oggi

Il ritiro improvviso, ma prolungato, degli Stati Uniti ha aperto lo spazio alla Russia per prendere quasi il pieno controllo sul campo della situazione in Siria. Se la Turchia vorrà avere ancora voce in capitolo, sarà legata all’imperialismo russo. Erdoğan si era già trovato a doversi districare tra un contratto per aerei da combattimento F-35 dagli Stati Uniti - ora annullato - e un sistema di difesa missilistica russo S-400 terra-aria - in atto ma non operativo. Poiché la Turchia è ancora un Paese della NATO, si trova obbligata a compiere un atto di bilanciamento sempre più precario con la sua controparte russa, e l’attuale spostamento dei poteri sul terreno siriano complica ulteriormente la questione.

Alla fine, la Turchia dovrà riconoscere nuovamente il regime di Assad senza che l’attuale mediazione russa le permetta di salvare la faccia. Dall’altro lato della barricata, la sopravvivenza degli ultimi cinque anni di conquiste rivoluzionare nel Rojava dipenderà da come il movimento curdo riuscirà a destreggiarsi su un terreno geopolitico infido e allo stesso tempo generare solidarietà internazionale Fino a ora, i gruppi curdi si sono dimostrati perspicaci nel comprendere il costante mutamento delle dinamiche geopolitiche, cavandosela tra alti e bassi e salendo gradualmente alla ribalta sulla scena internazionale. A breve termine la situazione è disperata ma, forse, a lungo termine non sarà così catastrofica. Tuttavia, è difficile fare simili previsioni con il nostro sguardo annebbiato dal caos della guerra.

Göze Altunöz del Partito Comunardo Rivoluzionario (DKP)/Forze Libertarie Unite (BÖG) mentre distribuisce volantini contro gli incidenti sul lavoro, descritti come “omicidio sul posto di lavoro,” prima di andare in Rojava per combattere a fianco dell’YPG/YPJ. Ha perso la vita il 6 novembre 2019.

Yasin Aydın del Partito Comunardo Rivoluzionario (DKP)/Forze Libertarie Unite (BÖG) mentre distribuisce volantini contro gli incidenti sul lavoro, descritti come “omicidio sul posto di lavoro,” prima di andare in Rojava per combattere a fianco dell’YPG/YPJ. Ha perso la vita il 6 novembre 2019.

Quanto potenziale esiste per l’opposizione interna a Erdoğan? Unito ai poteri straordinari concentrati nella sua presidenza, l’ambiente politico, sociale e psicologico post-golpe ha permesso alla repressione di regnare incontrastata in tutta la Turchia. Anche descrivere ciò che sta accadendo in Siria come “invasione” o “guerra” può mettere nei guai con le autorità. Dire di essere contro l’ultima invasione del Rojava e di essere, invece, a favore della pace è sufficiente per venire arrestati. La libertà di parola è inesistente; il Web è censurato in larga misura. I giornalisti con punti di vista dell’opposizione raccolgono casi giudiziari a dozzine, se sono fortunati. Altrettanto spesso vengono incarcerati, a volte anche senza accuse.

Di recente, anarchici e radicali sono riusciti a ritagliarsi un po’ di spazio in Turchia, anche coordinando cortei di successo, per esempio contro i recenti progetti di estrazione dell’oro. Il movimento delle donne è rimasto fermo nell’organizzare le sue manifestazioni annuali di massa dell’8 marzo. C’è ancora un piccolo grado di militanza sul lavoro. Ogni “tolleranza” percepita dallo Stato va, però, a farsi benedire quando si tratta di esprimere solidarietà con i curdi. In effetti, di recente, lo Stato ha rilasciato dal carcere alcuni giornalisti e intellettuali borghesi con opinioni di opposizione e ha, apparentemente, accettato la decisione della Corte costituzionale di archiviare i casi contro quasi mille accademici, per lo più non curdi, che avevano firmato una petizione per la pace durante l’occupazione e le operazioni militari del 2015 contro le città curde. Questo “perdono” da parte del patriarca funge come avvertimento per qualsiasi potenziale opposizione poiché si focalizza sulla minaccia curda.

Sfortunatamente, per ora, tutto ciò che viene fatto per contrastare questa guerra, e ancora con rischi non indifferenti, è esprimere disapprovazione per l’invasione del Rojava. Le azioni dirette e le manifestazioni non hanno avuto luogo, se non su piccola scala, nelle province prevalentemente curde e nei quartieri popolari ribelli delle città occidentali della Turchia. Questi eroici atti di resistenza sono stati brutalmente repressi, quasi istantaneamente, dallo Stato turco.

Secondo un sondaggio, il 75% della popolazione sostiene l’invasione del Rojava ma, nonostante ciò, ancora almeno un quarto dei cittadini vi si oppone, e buona parte di essi rimangono solidale con la lotta curda e continuano a partecipare, come possono, ad altri progetti radicali e rivoluzionari. Alcune fasce della sinistra turca si sono unite all’SDF con le proprie unità combattenti. Tuttavia, la maggior parte di coloro che si oppongono alla guerra non sono attualmente in grado di agire efficacemente entro i confini della Turchia a causa della brutale repressione statale. Questo crea l’impressione che tutta la nazione sostenga la guerra e si opponga all’autonomia curda.

L’HDP è stato in parte concepito come mezzo per rafforzare il movimento curdo dando vita a una lotta comune con i progressisti turchi concentrati nella Turchia occidentale. Come detto sopra, questo progetto ha fatto qualche passo in avanti verso il raggiungimento dei suoi obiettivi, ma la situazione attuale mostra perché la liberazione del popolo curdo dipende soprattutto dalla propria organizzazione e potere.

Resistere nella tana del lupo: la resistenza Gezi, giugno 2013.

Le azioni che colpiscono gli organi dello Stato turco, come ambasciate e imprese di proprietà statale come la Turkish Airlines , continueranno a esercitare pressioni esprimendo solidarietà vitale con i curdi e le altre formazioni radicali sotto attacco in Turchia. Negli ultimi dieci e passa anni, il clientelismo politico ha riempito le tasche dei membri dell’AKP e delle loro famiglie e una grande fetta di questo denaro è stata fatta convergere all’estero a causa dell’instabilità dell’economia turca. Cercare di capire dove viene investita la ricchezza personale dei leader dell’AKP e dei quadri principali potrebbe fornire nuovi obiettivi per azioni di solidarietà.

Alcuni nella vecchia sinistra si aggrappano al loro presunto antimperialismo, sostenendo efficacemente il colonialismo turco e l’imperialismo russo in nome dell’opposizione all’imperialismo americano. Questa posizione è sempre più assurda alla luce della lotta disperata per la sopravvivenza che il movimento curdo sta conducendo in uno dei terreni politici più difficili del mondo, di fronte alle ambizioni di molteplici potenze imperialistiche, nonostante siano stati traditi dal Governo americano e da molti altri. Gli anarchici dovrebbero mostrare una solidarietà seria ma critica, senza essere confusi dalle deboli alleanze che le forze organizzate curde hanno dovuto stringere con i nemici dei loro nemici, gli amici dei loro nemici e persino i loro veri nemici nella speranza di evitare i massacri jihadisti ed evitare il genocidio sostenuto dalla Turchia.

Infine, molti compagni turchi e curdi sono stati esiliati dalla Turchia, ma rimangono politicamente attivi. È difficile stimare quanti siano i rifugiati politici fuggiti, ma i flussi migratori in Germania, la principale destinazione di tali esiliati, offrono una buona indicazione. Dal tentativo di colpo di Stato del 2015, la Germania ha visto un aumento pari a dieci volte le domande annuali di asilo da parte di cittadini turchi, culminando in quasi 11.000 richieste nel 2018. Al di fuori di Paesi come Germania e Regno Unito, dove storicamente sono stati organizzati movimenti turchi e curdi, i dissidenti potrebbero trovarsi isolati o incerti su come continuare la lotta. Gli anarchici di tutto il mondo dovrebbero prendere l’iniziativa per creare spazio per coloro che sono in esilio. Lavorando insieme su progetti comuni, i sostenitori internazionali impareranno di più sulle idee e gli sviluppi della zona, mentre quelli espatriati otterranno nuove reti e mezzi per continuare le loro lotte. Imparare dalle proposte curde di confedaralismo democratico, autonomia e jineoloji (scienza delle donne) e l’implementazione di qualunque lezione sia applicabile localmente sono forme efficaci di solidarietà che vanno oltre l’attuale - seppure necessaria - risposta di emergenza all’aggressione.

Taksim Square, Istanbul, giugno 2013. Oggi le correnti rivoluzionarie sono represse in Turchia, ma questo non durerà per sempre.

Appendice: una breve intervista con Azione Anarchica Rivoluzionaria in Turchia

Nell’estate 2013 abbiamo intervistato il gruppo turco Azione Anarchica Rivoluzionaria (Devrimci Anarşist Faaliyet, o DAF) sulla rivolta iniziata a Gezi Park. Nel 2014 abbiamo nuovamente parlato con loro della difesa di Kobanê e della solidarietà organizzata tra DAF e l’esperimento autonomo che si stava svolgendo in Rojava. Da allora è passata parecchia acqua sotto i ponti. Dopo l’invasione turca del Rojava, ancora in corso nonostante un falso cessate il fuoco, abbiamo incontrato ancora una volta un membro della DAF per sapere quali sono oggi le condizioni in Turchia per gli anarchici.

Storicamente, qual è stata la relazione tra anarchici turchi e organizzazioni curde in Turchia?

Prima di tutto, “anarchico turco” non è un termine utile per descrivere chi vive qui che si definisce tale. In queste terre - e anche nelle organizzazioni - ci sono persone di diverse etnie. Il popolo curdo ha lottato contro le varie tirannie in questa regione per decenni, quindi la relazione solidale di DAF è una relazione solidale con la lotta di liberazione del popolo.

La rivoluzione del Rojava e la difesa di Kobanê hanno posto la questione della “resistenza curda” all’ordine del giorno tra gli anarchici di tutto il mondo ma, per quanto riguarda la DAF, i nostri rapporti di solidarietà risalgono a molto prima, al 2009, anno della fondazione del movimento. Inoltre, non si tratta solo di essere solidali. In Kurdistan siamo da tempo testimoni della guerra e di una strategia politica statale di assimilazione. Un anarchico che vive in questa regione deve quindi elaborare un’analisi e schierarsi. La nostra posizione è stata chiara: contro le tirannie degli Stati, ci schieriamo dalla parte delle persone che resistono.

Con questa prospettiva, abbiamo espresso la nostra solidarietà nelle proteste e partecipato a scontri a fianco del Movimento per la Libertà curdo. Siamo stati continuamente nelle strade per osservare Newroz [il capodanno curdo] e le commemorazioni dei grandi massacri non solo per esprimere il nostro appoggio ma anche perché questo fa parte della nostra responsabilità di essere e agire come anarchici.

Partecipiamo anche all’organizzazione del Movimento obiezione di coscienza in Turchia e ciò che ci spinge a diffondere l’obiezione è importante anche in riferimento a tale questione perché la guerra è fatta dai militari.

I membri del DAF intrapresero iniziative di solidarietà al confine tra Turchia e Siria nel 2014.

In questo momento quali sono le condizioni per anarchici e altri dissidenti in Turchia? Quali attività stanno ancora svolgendo i primi?

Soprattutto dopo il processo per il golpe e lo stato di emergenza - utilizzato politicamente dal Governo per rafforzare il proprio potere - la repressione dei rivoluzionari è aumentata.

In questo momento, è molto facile essere sbattuto in prigione; perché questo accada è sufficiente condividere qualcosa tramite i social. La repressione delle pubblicazioni rimane un grosso problema: se alle autorità non piace un articolo, è facile vietare una rivista e molti scrittori ed editori sono in prigione per ciò che hanno pubblicato.

Qualsiasi tipo di protesta può aver luogo solo secondo i desideri e la gestione della polizia, e quindi i desideri e la gestione dello Stato. Non si può proferire parola sulle questioni curde; nessuno può protestare, scrivere o commentare la guerra.

Queste sono le circostanze in cui stiamo cercando di organizzare e diffondere l’idea anarchica.

Il nostro giornale è stato bandito per un po’ a causa delle accuse di “fare propaganda terroristica.” Alcuni dei nostri autori e distributori sono stati condannati e alcuni compagni lo sono stati per aver partecipato alle proteste. Due caffè collettivi, il principale pilastro economico della nostra organizzazione, hanno incontrato difficoltà a causa della repressione della polizia. Anche i compagni obiettori di coscienza si trovano ad affrontare delle difficoltà.

Esiste un’aperta opposizione all’invasione del Rojava in Turchia?

In generale, le autorità vietano e attaccano qualsiasi tipo di protesta contro la guerra.

La Turchia effettua la coscrizione militare. Esistono movimenti contro la coscrizione e il militarismo in generale?

Ho descritto la prospettiva politica del Movimento per l’obiezione di coscienza di cui la DAF è tra i fondatori. Poiché stiamo agendo in tale Stato militaristico, il movimento antimilitarista - che sosteniamo da quando è nato il nostro gruppo - è davvero importante.

Gli uomini sono costretti ad arruolarsi nell’esercito a vent’anni. L’associazione organizza campagne per l’obiezione di coscienza, pubblicizza e indaga sugli omicidi sospetti nell’Esercito e sostiene gli obiettori da un punto di vista giuridico.

Secondo noi, esiste una differenza fondamentale tra la violenza militarista dello Stato e la lotta popolare per la libertà; queste non possono essere assolutamente messe sullo stesso piano. Inoltre, a differenza di alcune organizzazioni socialiste che si definiscono un esercito rosso, quelle curde si esplicitano come unità di autodifesa anziché militari.

Qual è la situazione per il popolo curdo in Turchia in questo momento?

È più difficile che mai. È impossibile intraprendere qualsiasi tipo di azione. La propaganda fascista dello Stato continua attraverso i suoi stessi media e anche attraverso i cosiddetti partiti di opposizione. La pressione verso l’assimilazione culturale e la repressione politica nei confronti dei curdi è intensa.

Quali credete siano gli obiettivi immediati dell’invasione di Erdoğan? E come pensate che miri a raggiungerli?

Quando parliamo di questa regione del Medio Oriente, è difficile comprendere o prevedere strategie. Hanno intrapreso l’invasione andando contro gli Stati Uniti e altri alleati occidentali, ma è anche difficile capire la loro tattica. È ovvio che gli Stati Uniti non siano alleati del popolo curdo nel Rojava. Questa è la realtà della politica in Medio Oriente.

Concretamente, lo Stato sta approfittando della guerra per raggiungere obiettivi politici interni. Questo fa parte della loro strategia. Lo Stato di emergenza istituito da Erdoğan e dal suo Governo ha messo in pericolo il loro potere politico e l’unica cosa che lo legittima sono le elezioni, quindi stanno cercando di favorire un’ondata nazionalista e militarista al fine di mantenere la loro “legittimità.”

Ulteriori letture

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  1. La setta Alevi, nel ramo sciita dell’Islam, è associata alla tradizione rivoluzionaria di sinistra in Turchia. Anche se molti sono musulmani praticanti, il rituale del canto e della danza collettiva circolare (semah) durante una cerimonia comunitaria (cem) nella casa del cem (cem evi) è più importante che pregare nella moschea. Sono stati perseguitati e massacrati dall’impero ottomano.